QUELLO CHE AVREBBE POTUTO ESSERE (Dove non avrebbe lasciato che la paura gli scavasse un buco nello stomaco)
La pioggia batteva sulla lamiera del tetto, dita ossessive, un ticchettio incessante. Victor sedeva al tavolo della cucina.
"Non si torna mai indietro, lo sai, vero?" disse Alma, appoggiata al lavandino.
La luce al neon sopra di lei le dava un'aria di santo scolorito, il viso scavato dalla stanchezza.
Victor fece spallucce.
"Non ho mai avuto un avanti, figurati un indietro."
"Non ti senti mai come una sedia zoppa? Sempre sul punto di crollare ma che ancora non cede?" chiese Alma, quasi a sé stessa.
Victor rise. "Io? Sono più una sedia senza gambe. Mi sono seduto così tanto sulle possibilità che mi sono marcite sotto il le chiappe."
Ma le sue parole erano un alibi. Sapeva cosa voleva dire Alma. Sapeva che c’era un universo, o mille, dove avrebbe preso quella decisione giusta al momento giusto. Dove non avrebbe lasciato che la paura gli scavasse un buco nello stomaco.
Il passato ci sventola davanti come una bandiera bucata. Un monito, un promemoria di tutte le occasioni in cui abbiamo alzato bandiera bianca.
Alma si avvicinò al tavolo, posò una mano sul legno. “Victor, credi che esista un posto dove siamo…diversi? Migliori?”
C’era quel modo crudo in cui Alma metteva a nudo la realtà: senza ornamenti, senza pretese di redenzione.
Victor le rivolse un’occhiata di sbieco: “Un posto? Magari. Ma non è per noi.”
Alma sorrise: “E se invece fosse qui?”
“Dove? Tra il frigo rotto e la muffa sulla parete?” Victor indicò la stanza come se fosse la testimonianza di un fallimento permanente.
Ma il sorriso di Alma non svanì. “Forse è proprio qui, Victor. Forse non è mai stato altrove.”
Non è qui e non è là, è in quel che fai con le mani vuote.
È nell’intervallo tra un sì e un no. La pioggia rallentò.
Victor rimase in silenzio, poi si alzò. Si avvicinò alla finestra, guardando il cortile grigio: "Credi davvero che si possa iniziare qualcosa di nuovo… qui?"
Alma non rispose subito. Poi si avvicinò a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non è questione di iniziare, Victor. È questione di vedere. Di smettere di desiderare un passato diverso.”
Victor si voltò verso di lei, gli occhi pieni di lacrime: “E tu lo vedi?”
“Io vedo che il fiume scorre. E che tu lo guardi come se aspettassi che cambi direzione. Ma il fiume è solo acqua, Victor. E noi siamo l'acqua. Lascia che scorra.”
Victor si voltò verso la finestra. Le gocce di pioggia scivolavano lungo il vetro, ricordi che non trovano pace. Dentro di lui qualcosa si tendeva, un filo sottilissimo tra il rimpianto e l’illusione.
“Alma,” mormorò, “e se non fossi capace? Se fossi troppo rotto per lasciar scorrere?”
Alma lo osservò, la sua fragilità esposta come una vecchia cicatrice.
“Non si tratta di essere interi, Victor. Non lo è mai stato. Si tratta di muoversi anche quando fa male.”
Un silenzio riempì la stanza, la pioggia si affievoliva.
La loro vita, pensò Victor, era un incessante ticchettio: mai un temporale che liberasse, solo un ronzio di fondo.
Ma Alma era lì, accanto a lui, testarda come un’idea che non si spegne.
Si prese un momento per respirare, poi le prese la mano. Non era un gesto di speranza, né di certezza. Era solo il peso della gravità, il loro modo di ancorarsi l’uno all’altra mentre il fiume li trascinava.
“Forse possiamo smettere di aspettare il cambiamento,” disse. “Forse possiamo solo guardare l’acqua.”
Alma non rispose, ma il suo silenzio era una promessa. Restarono lì, fermi, mentre il mondo fuori continuava a scorrere, incurante di loro, delle loro paure, dei loro desideri. Il fiume non cambia direzione, ma a volte impariamo a smettere di opporci alla corrente.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 12/24, Alma e Victor. Art by Stephen Stadif)
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