NEL MOMENTO IN CUI L'AMORE FINISCE (L'oblio, il cambiamento, la redenzione: l'amore se non cambia muore)
Nel momento in cui l’amore finisce, la prima ferita si apre nel cuore, e il cambiamento avviene altrove, in modo invisibile e lento.
È negli occhi, prima di tutto, che inizia l'oblio. Gli occhi, strumenti primi del desiderio, sono i primi a smettere di cercare, di riconoscere l'altro.
La sofferenza dell'assenza si fa strada proprio lì, nel tentativo vano di aggrapparsi a una presenza che si dissolve.
Guardi le stesse cose, ma non le vedi più. Come un panorama che hai osservato mille volte, ora diventa estraneo, inaccessibile, coperto da una patina che opacizza la luce, rendendo le immagini distanti, sbiadite.
È in questo silenzio visivo che comincia il distacco, e con esso il lungo lavoro del dimenticare.
Epperò, dimenticare non è un atto volontario, non è una scelta cosciente.
È una forza che ti prende, un’onda che lentamente ti inghiotte.
È l'ineluttabile, una corrente sotterranea che trascina, senza clamore, senza grida.
Non vi è nulla di drammatico, nulla di epico. L’oblio è un processo di sottrazione, una diminuzione progressiva del dolore, ma anche del ricordo ("chi rimuove...illuso...pensa che non muore", M. Thompson Nati, 1970).
Ogni giorno porta via un frammento, fino a che il volto amato diventa meno nitido, meno presente.
La verità si nasconde dietro la nebbia, la forma di una felicità perduta si dissolve, irreversibilmente.
L'identità stessa vacilla nel momento in cui l'altro viene meno.
Il tu che amavi diventa una figura senza nome, senza contorni, quasi fosse un riflesso di te stesso, uno specchio spezzato.
L'amore non è solo una relazione tra due individui, ma anche una parte di noi stessi che viene cancellata insieme all'altro.
Dimenticare significa, allora, smarrirsi un poco, perdere frammenti di sé lungo la strada.
Il ricordo, che prima alimentava la nostra identità, diventa una zona grigia, imprecisa, e con esso anche noi diventiamo altro, sconosciuti a noi stessi.
La voce, come il secondo passo dell'oblio, si trasforma.
Prima c’era un nome che evocavi, un suono che riempiva l’aria di significato. Ora quella voce si svuota.
Pronunciare il suo nome diventa più difficile, come se le labbra non trovassero più il ritmo giusto, come se l’interiorità stessa rifiutasse quel legame.
Quell’atto intimo, che era stato carico di passione, ora si riduce a un eco lontano.
La voce si spegne, non c'è più chi la ascolti, e in questa assenza si perde la sostanza del legame.
Anche le parole si sgretolano sotto il peso dell’abitudine a non dirle. Diventano pietre silenziose, prive di risonanza, e con esse si sgretola la memoria.
Niente due volte, la voce che evocava l'altro non potrà mai più essere la stessa.
Tuttavia il dolore del distacco amoroso non è solo la perdita dell’altro, ma anche l’opportunità di vedere attraverso l'illusione del possesso, della dipendenza emotiva.
L’oblio, nel suo pensiero, potrebbe essere una forma di liberazione, un modo per comprendere che ciò che veramente amiamo non è mai l'altro nella sua interezza, ma solo un'immagine che proiettiamo su di lui.
Quando questa immagine si frantuma, il nostro dolore è la resistenza al cambiamento, alla verità del costante fluire della vita.
Non c'è nulla di definitivo, nemmeno l'amore, che se non cambia muore.
E così, dimenticare diventa un atto naturale, una resa al flusso del tempo, alla sua inevitabile erosione.
L’oblio conquista tutto, pezzo dopo pezzo. Il volto, la voce, le parole, tutto svanisce in una lenta resa. E quello che resta, cos'è?
Quello che resta lo trovi in una canzone che, per sua natura, è un’astrazione. Non è mai concreta, non è mai intera. Esiste nel momento, svanisce nell’istante.
Dimenticare un amore, alla fine, è come diventare una canzone.
Non più carne e sangue, ma suono. Non più sofferenza, ma eco lieve, distante, qualcosa che c'era ma non c'è più.
Non resta che una melodia vaga, una filastrocca che forse canticchierai un giorno, distrattamente, senza più ricordare a chi apparteneva.
In questo, c'è una sorta di redenzione. Come una canzone, anche il dolore può diventare una musica che accompagna la nostra vita, ma non ne domina più il ritmo. Non ne è più il centro.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Memorie di una canzone, Mip Lab, 9/24. Art by Stephen Stadif)
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