Fin da piccolo ho pensato che i confini tra i vivi e i non vivi si sfumassero in un alone di mistero.
I morti non svaniscono, lasciano segnali, tracciano strade invisibili, varchi dimensionali che noi attraversiamo senza rendercene conto.
Forse è solo una consolazione, un tentativo disperato di colmare il vuoto, di dare un senso a ciò che non comprendiamo.
Ma in fondo, credo che qualcosa ci sia. I morti parlano, anche se la loro voce è un sussurro che solo chi ha orecchie per ascoltare può cogliere.
Forse perché la morte non è altro che una trasformazione, una continuazione in un altro spazio, dove l’amore, il dolore e il ricordo sono tutto ciò che rimane.
E in quel tutto che rimane, è l’amore a risuonare con la maggiore intensità.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, dice la scienza. Ma non è solo la materia che si trasforma, sono i nostri sentimenti, i nostri legami.
I segnali che i morti ci mandano sono come echi di quelle trasformazioni, frammenti di una realtà che esiste oltre la nostra percezione.
La vita oltre la vita non è un aldilà da favola, ma una persistenza. È nella memoria, nei gesti quotidiani, negli oggetti che ci sopravvivono.
A qualcuno è capitato di cercare di captare qualcosa di invisibile, di toccare ciò che sembra intangibile? Tendere la mano verso l’ignoto, sperando che qualcosa ci risponda.
Forse è l’illusione che crea la divisione. La morte è solo un concetto che l'uomo ha costruito, un’idea che nasce dalla paura. Guardiamo al di là di noi stessi, speriamo in un varco dimensionale che ci riporti a ciò che abbiamo perso.
È se la vita e la morte non fossero separate?
E se fossero la stessa cosa, come l’albero che cresce e il seme che marcisce nella terra?
Nella nostra disperata ricerca di un segnale, di un significato, sveliamo il nostro attaccamento, la nostra incapacità di vedere che la vita, così come la morte, è un continuo fluire, e in quel fluire l’amore è l’unico elemento che non conosce fine né inizio.
Qualche anno fa ero più secco e sarcastico. Mi dicevo: Ma non raccontiamoci troppe storie. Tutti questi segnali, queste chiacchiere su varchi dimensionali e messaggi dall’aldilà. Sono roba da filosofi da salotto, da scienziati pazzi. La morte è morte, punto. E quando sei morto, sei morto. Forse l'amore dura un po’ di più, rimane nell’aria come il fumo di una sigaretta, ma alla fine si disperde anche quello. Alle volte vedo una lotta senza speranza contro qualcosa di inevitabile. L’uomo è sempre lì, a cercare di fottere il destino, di sfuggire alla realtà. I segnali dei morti? Ma quali segnali? È il nostro cervello a farci credere che ci sia qualcosa oltre, per non farci impazzire. La verità è che l’amore e la vita si consumano, e poi finisce tutto, e sei solo con il nulla. Ma non importa, perché fino a quel momento, vivi. E tanto basta. Se c’è una lezione da imparare, è questa: vivi, prima che tutto si trasformi in polvere e silenzio.
Poi, però, mi sono accaduti dei fatti, della stranissime coincidenze (?), confronti con altre persone, e allora, qualcosa è cambiato in me.
Chissà, forse, non c’è niente da cercare, niente da comprendere. Ci aggrappiamo all’idea che la morte sia un punto finale, ma se lo fosse davvero, perché allora sentiamo quei segnali, quei sussurri che non dovrebbero esistere?
La scienza e l’emozione si incontrano in quel vuoto dove la vita oltre la vita non è una certezza, ma una possibilità.
Noi restiamo in bilico, sospesi tra il dubbio e la speranza. Noi restiamo sospesi. E la morte non è il contrario della vita, è parte di essa.
I vivi e i non vivi sono come ombre di uno stesso quadro, inseparabili.
E se davvero esiste un varco, se c’è un modo per comunicare con chi ci ha lasciato -ripeto- lo troviamo nell’amore.
Non è la scienza a darci le risposte, ma quella scintilla che sentiamo quando pensiamo a chi non c’è più.
Forse i segnali non vengono dall'esterno, ma da dentro di noi.
Forse è la vita stessa a trasformarsi in amore eterno, in un segnale silenzioso che non smette mai di battere, come un cuore lontano che continua a vivere in noi.
E se capiamo questo, allora capiamo tutto. Vivere non è opporsi alla morte, ma comprenderla, accettarla.
Il tempo, lo spazio, la morte e l’amore sono solo illusioni che nascono dalla mente.
Ma quando le lasciamo andare, quando smettiamo di cercare risposte, ci rendiamo conto che la vita è tutto ciò che c’è, e che in essa si trasforma anche ciò che chiamiamo morte.
(A. Battantier, Memorie di un amore, 2024)
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