L’autunno sta arrivando. Lo sento nel vento, nei giorni che si accorciano. C’è qualcosa di inquietante nel modo in cui le stagioni si ripetono, sempre uguali, come un circolo senza fine. La natura sembra sospingerci avanti, ma ci costringe a rivivere gli stessi eventi con una sottile crudeltà.
Forse è questo che mi spaventa, non il freddo o il grigiore che si insinua nell’aria, ma ciò che porta con sé: il ricordo di quest’estate, un’estate che si è chiusa su di me come una trappola.
Non volevo crederci. Osservavo, ma non vedevo. Forse non volevo vedere. La curiosità, sì, quella diabolica curiosità che uccise il gatto, ma non me, mi ha portato a cercare la verità.
E quando l’ho trovata, è stata come una frattura. Una disintegrazione. Qualcosa in me si è spezzato. È stato come se il tradimento fosse un coltello affondato in quella parte di me che era rimasta intatta, pura, piena di fiducia.
E ora? Ora mi guardo indietro e vedo una quella parte di me, è morta, soffocata dal tuo gesto.
Non meritavo una fine così, o forse sì? Forse avevo messo troppa fiducia, troppo amore, in te. Le tue mani, che pensavo fossero gentili, si sono rivelate artigli, mani di un mostro, una specie di diavolo che mi professava amore mentre mi accoltellava alle spalle.
Tradire implica una scelta, un atto consapevole, e tu l’hai compiuto.
La tua vanità è cresciuta a dismisura.
È un mostro che non riesco a reggere.
All’inizio, i corto circuiti nel cervello erano continui, come lampi, esplosioni. E poi, con il tempo, si sono ridotti, ma non spariti. Spariranno mai?
C’è qualcosa di più oscuro in tutto questo, qualcosa che, nella mia ingenuità, non avevo voluto vedere. Come potevo essere così cieco?
Guarda, io ti guardavo. Ti osservavo mentre mi mentivi. Un sentimento, sì, ma non c’è odio in quello che provo ora.
Solo un peso opprimente dentro di me. L’anima è spersa nel mondo dei persi, e io sono uno di loro.
La gelosia mi ha mangiato vivo, ma ora che tutto è chiaro, non è più lei a tormentarmi.
È la paura. La paura che la storia si ripeta, che questa sia solo una spirale senza fine.
Forse era amore? Che ne so io? Forse lo era, ma allora perché tutto questo? Cosa ti ha spinto a farlo? Non giudico. O almeno, cerco di non farlo.
Non è una questione di zoccola o malandrina, no, non penso.
È qualcosa di più profondo. È il potere che ti attrae, il controllo.
La maschera dietro cui ti nascondi non è altro che una copertura per il tuo desiderio di distruggere tutto ciò che non riesci a possedere completamente.
Non posso fare a meno di chiedermi: cosa verrà questa volta? Cosa resta da uccidere, da frantumare? Mi guardo indietro, a quella parte di me che ti amava senza riserve, che viveva con l’illusione che il nostro amore fosse più forte delle nostre debolezze.
Ma ora quella parte è morta, spenta.
E ciò che resta è solo un’ombra, che si nasconde in ogni tua parola, in ogni tuo sguardo.
Forse dovrei scappare. Forse dovrei lasciarti al tuo destino.
Eppure, nonostante tutto, sono ancora qui. E questo mi spaventa ancora di più.
Cosa mi tiene legato a te? La speranza?
Speranza che mi stia sbagliando, che non sia tutto perduto?
O è solo paura del vuoto, del nulla che mi aspetta fuori da questo legame?
Resto in bilico, temendo ogni tuo sguardo, ogni tuo gesto, come se fosse l’inizio della fine.
Cosa mi aspetta ancora? Non lo so.
Non so se riusciremo a sfuggire a questa spirale che sembra divorare tutto, ma so che non posso sopportare un altro autunno come questo.
L’amore ferito è come una ferita che non smette di bruciare, perché non si sopporta l’idea che qualcun altro possa dire le stesse parole, possa toccarti come facevo io.
L’esperienza ci cambia, o dovrebbe. E io mi chiedo: tu cambierai?
Cambieremo insieme? Forse è questo che mi tiene qui, la speranza di un cambiamento, di una redenzione.
Eppure, nonostante tutto, sono ancora qui.
(A. Battantier, Thomas Bergen Just the way she was, 2008)
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