A sedici anni tutto sembra più grande di quello che è. O forse è solo che io sono ancora troppo piccola per capire dove finisco io e dove inizia questo mondo che mi sta crollando addosso.
Lo sento addosso, nelle spalle, nel petto. Qualcosa si è bloccato, perennemente conficcato. Lo sento sempre.
E per quanto faccia respiri profondi, non vuole andarsene. Un grumo formato da urla e gemiti aggrovigliati, intrecciati fra loro uno strato dopo l'altro.
È come se respirassi e il fiato mi rimbalzasse contro, come un pugno nello stomaco.
Le persone attorno a me continuano a parlare di futuro, a chiedermi cosa voglio fare.
Come se ci fosse un futuro. Come se non vedessero che tutto sta cadendo a pezzi.
Parlano di università, di lavoro, di soldi, di case. Io vedo solo l'aria che si fa più sporca, il mare che si riempie di plastica, le persone che diventano sempre più mostri.
Vogliono che io segua le loro orme, che mi adegui. Che giochi secondo le loro regole, ma come posso fare quando sento che tutto quello che fanno, quello che costruiscono, è tossico?
La loro idea di normalità è malata, corrotta, ed è difficile trovare un gatto nero al buio, soprattutto quando il gatto non c'è. Ecco come mi sento.
Persa in una stanza buia, a cercare qualcosa che forse non esiste nemmeno.
Mi dicono che sono giovane per capire, che non dovrei preoccuparmi. "Vivi la tua età", dicono.
Ma come faccio a vivere la mia età, se intorno a me tutto muore? Gli alberi vengono abbattuti, gli animali soffrono gridando nei mattatoi, e io dovrei pensare a quale vestito metterò domani? A quanti like prendi su Instagram?
Tutto questo mi sembra assurdo. Mi sembra uno scherzo. Come se qualcuno ci avesse messi qui per vedere quanto possiamo ignorare la verità prima di impazzire. E forse è così. Forse siamo già tutti pazzi.
Visto da vicino nessuno è normale. Mi guardo attorno e vedo gente che fa finta di essere felice, che si riempie la testa di cazzate per non pensare.
Perché pensare fa male. Io lo so. Lo sento nel petto ogni volta che mi fermo un attimo, ogni volta che respiro e cerco di capire dove sono.
E quello che vedo non mi piace. Non mi piace per niente.
La gente distrugge tutto quello che tocca, come se fosse programmata per farlo.
Mio padre dice spesso: Nel bene e nel male... quello che è detto è detto e quello che è fatto è fatto.
Ma il problema è che qui il male ha vinto da tempo.
Mi sento impotente. Vorrei cambiare qualcosa, fare qualcosa di concreto.
Ma poi penso: a cosa servirebbe? Siamo già fregati. Le persone non ascoltano, non vogliono vedere. Sono troppo impegnate a vivere la loro vita finta, a rincorrere sogni che non sono neanche i loro.
E io sono qui, a cercare di capire cosa cazzo faccio in mezzo a tutto questo.
Forse dovrei fregarmene anche io. Lasciarmi andare. Non pensare più.
Magari, se smettessi di cercare di capire tutto, il grumo nel petto si scioglierebbe.
Magari, se mi adeguassi, potrei respirare più facilmente.
Ma poi mi chiedo: sarebbe davvero vivere?
(A. Battantier, Memorie di un'adolescente, Claudine, 16 anni, Mip Lab, 10/24. Art by Stephen Stadif)
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