"C'è un quesito che me pongo assai attuale: E' più facile esse belli co li filtri oppure cessi al naturale"? (Combucio)
Bella domanda. È più facile essere belli grazie ai filtri dei social o brutti al naturale? A quanto pare, è un quesito che interessa più o meno tutti, tranne quelli che hanno già deciso di vendersi l’anima a una versione pixelata di se stessi.
È come chiedersi se è meglio vivere o semplicemente stare al mondo, respirare o non disturbarsi affatto. Sono domande da filosofi?
Domande da chi davanti allo specchio ci vive ma ma ancor più sullo schermo dello smartphone.
Forse perché è lì, tra quei filtri e quelle luci artificiali, che si sentono finalmente "presentabili."
Immagina di svegliarti al mattino. Gli occhi gonfi, la pelle che grida vendetta. Sei un’opera d’arte in corso, un cantiere aperto senza permessi. Ma con un paio di click, voilà, diventi la caricatura di te stesso, un dipinto di qualcun altro.
Ci metti quei filtri che ti lisciavano i lineamenti, ti strappano le rughe come fossero erbacce e ti rimpolpano le labbra fino a sembrare un pesce irreale.
E allora perché fermarsi? Perché limitarsi al filtro quando c’è il bisturi? Un paio di tagli, un tiraggio qui, una punturina là, e puff! Ecco l’avatar perfetto da portare in giro come uno scudo.
La faccia non è più una faccia, è una promessa; non è più carne, è plastica; non sei più tu, sei la pubblicità che ti sei fatto da solo.
Ma cosa nascondi, alla fine? Non nascondi solo le rughe, i segni del tempo e della stanchezza; nascondi la tua paura.
La paura di essere visto, per davvero, la paura di essere quello che sei senza quei maledetti filtri a correggere il tiro.
Tutti a sforzarsi di essere la versione patinata di se stessi.
Tutti lì, a correggersi come se fossero brutti graffiti su un muro scrostato.
Ma a cosa servono tutte quelle manovre chirurgiche e grafiche?
A che serve stirarsi il viso, gonfiarsi le guance e riempirsi di filler?
Alla fine non ci si salva: c’è sempre qualcosa che non va, c’è sempre un difetto che sfugge al controllo, un’ombra che riappare sotto l’occhio stanco, un sorriso che proprio non si arrende alla perfezione artefatta.
Il punto è che non si riesce a fuggire da se stessi, nemmeno col bisturi. Puoi cambiare faccia, puoi cambiare naso, puoi pure cambiare vita; ma alla fine, alla fine, ti ritrovi sempre lì, a fissare quella maschera tirata, lucidata, a fingere di non riconoscerla, a fingere che sia davvero il meglio di te.
Ma il meglio di te è lì sotto, sotto quella pelle ritoccata, sotto quegli strati di bugie e di falsità.
Il meglio di te è quel pezzo di carne che si porta dietro tutti i difetti, le ferite, le rughe. Perché quelle, almeno, sono vere.
Quindi, alla fine, è più facile essere belli con i filtri o brutti al naturale? Io dico che è più difficile essere sinceri.
(A. Battantier, Memorie di un'adolescente, Mip Lab, 10/2024 S. Attache, 17 anni. Art by Stephen Stadif)
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