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Visualizzazione dei post da novembre, 2024

IL BATTESIMO SUL FIUME

Il sole spaccava le pietre e le teste. Da qualche parte, un corvo gracchiava come se avesse ricevuto una chiamata diretta dal creatore. La congrega si era radunata sulle sponde del fiume. Il Suwannee, Florida. Non proprio il Giordano, ma funzionava lo stesso. Erano tutti lì per Jack, cinquantenne alla deriva da almeno vent’anni. Ex alcolizzato, Ora, finalmente, aspirante cristiano. Aveva trovato la fede come si trova una banconota da cinque dollari sul marciapiede: per caso, ma abbastanza disperato da non farsela scappare.   Il prete, un tipo robustello e perennemente sudato, portava una tunica bianca.  “Fratelli e sorelle, siamo qui oggi per celebrare la rinascita di Jack!” esclamò, con un tono di voce di chi vende pentole più che salvare anime.   Le vecchie del coro intonavano un canto lugubre, una di quelle robe che ti fanno pensare alla morte anche quando sei al bar.  Jack avanzava verso il centro del fiume, guidato dal prete e sostenuto dai canti. Ogni...

BLACK FRIDAY: IL NON-CONSUMO È LA VERA RIVOLUZIONE

Mi piace questa immagine. Una madre che distrugge, con la semplicità di una battuta, il mito del risparmio durante il Black Friday, il trionfo del consumo sfrenato. Un’ideologia che ci tiene in pugno, spingendoci a desiderare ciò di cui non abbiamo bisogno. Non è solo una questione di marketing o di sconti. Il Black Friday è una celebrazione della docilità. È il momento in cui le persone, convinte di essere libere, diventano gli ingranaggi più ubbidienti del sistema. Acquistano per sentirsi meglio, per riempire un vuoto che il consumismo stesso ha creato. Ed è un vuoto strategico, orchestrato da chi detiene il potere economico.  Come dire: “Non ti basta ciò che hai. Ti serve di più. E te lo offriamo noi, a un prezzo che non potrai rifiutare.” Epperò poi nel letto non trovo la testa di un cavallo ma la testa tua. In quel “non potrai rifiutare” c’è la trappola perfetta. La narrazione del Black Friday si regge su un bisogno artificiale, un’urgenza che non esiste.  Ti dicono: “Sol...

CI SI DIMENTICA DI ESSERE FELICI (Bisogna trovare un modo per sistemare i cervelli tristi)

Dicono che, quando un topo è triste, non vuole più giocare o esplorare. Sta fermo in un angolo, con il mondo intorno a lui tutto grigio.  Io lo capisco, perché mi sento così quando i miei genitori litigano.  Non mi va di fare niente, nemmeno le cose che prima mi piacevano. Dicono anche che, quando sei triste, non riesci a vedere le cose belle.  È come i miei occhiali sporchi: tutto sembra brutto e confuso.  È strano, perché le cose belle ci sono ancora, ma tu non le vedi.  Vedi solo quelle brutte, come le urla che arrivano dalla cucina o le porte che sbattono.  I topi non hanno voglia di annusare le cose buone, tipo l’odore di qualcosa che gli piace.  Pensano solo ai pericoli, a quello che li fa stare male. È come se il loro cervello decide che non vale più la pena essere felici.  Quando sei triste pensi che tutto sia brutto, anche quando non lo è davvero. Perché facciamo così? Perché diamo troppo peso alle cose brutte e non vediamo quelle belle. ...

VENTO CHE PASSA

Non c’è un luogo, non un tempo preciso dove trovare sollievo.   Il vento soffia anche oggi sui tuoi pensieri, li piega, li spezza, ma tu non sei quei pensieri.   Ascolta.   Non il rumore del traffico di cervello, non le parole stanche, ma il silenzio che cresce tra i respiri.   Non sei la fatica del corpo, né il peso delle rate, né il cemento mai concordato.   Sei lo spazio tra un lamento e l’altro, la quiete nascosta sotto il tumulto.   Ogni cosa va e viene.   Anche l’ansia, anche la stanchezza.   Rimani tu, immobile cielo, le nuvole corrono affannate.   Non trattenere.   Non respingere.   Lascia che accada come deve accadere.   Nel vuoto che rimane,   troverai la pace. (Andrea Battantier, Didier Doutest, Lao in the company knows the formula, 2005. Art by Stephen Stadif) #stephenstadif  #didierdoutest  #memoriediunamore  #laobushem  #MIP...

"VIETATO L’USO DEI SOCIAL SOTTO I 16 ANNI": UNA RIFLESSIONE TRA L’ASSURDO E IL NECESSARIO

Se in un mondo parallelo George Orwell e Franz Kafka si fossero messi a scrivere un manifesto politico contro i social media, probabilmente il risultato sarebbe simile al recente provvedimento australiano: dal 2025, chi ha meno di 16 anni non potrà più accedere ai social network.  La decisione, che promette di essere storica secondo il primo ministro Anthony Albanese, nasce dal desiderio di proteggere i giovani dagli effetti nefasti di piattaforme ormai percepite più come strumenti di manipolazione che di comunicazione. Ma guardiamo oltre la superficie. Se il linguaggio dei social è diventato il nuovo dialetto globale, cosa significa escludere un’intera fascia d’età?  In termini di socializzazione, l’equivalente sarebbe impedire agli adolescenti di partecipare alle piazze pubbliche del XXI secolo, lasciandoli a bighellonare nei corridoi virtuali delle chat scolastiche. Il divieto nasce da preoccupazioni legittime: cyberbullismo, dipendenza digitale e ideali estetici tossici ha...

MUSICA LEGGERISSIMA. NON È MANCANZA DI CORAGGIO. E’ PROPRIO LA FOLLIA CHE MANCA (17 anni, aivoglia a migliorare)

La stazione è quasi deserta e non capisco perché, forse è sciopero e lo sapevano tutti tranne me.  Qualche pendolare, uno gli occhi spenti, una signora inquietante che sembra un pagliaccio e ricorda mia zia, uno che parla al telefono con la voce così squillante da sembrare un annuncio.  Sto aspettando il treno con le cuffie nelle orecchie. Il vento mi taglia il viso, ma non abbastanza da svegliarmi da questo torpore che mi porto addosso da settimane. Sospesa tra tra la voglia di sparire e quella di esplodere. Nelle orecchie risuona Musica leggerissima.  Mi fa sorridere, oddio, allegra ma non troppo, come quei messaggi che riscrivo mille volte senza mai inviarli.  Non è mancanza di coraggio. E’ proprio la follia che manca, per buttarsi, per fregarsene, per accettare il rischio di cadere.  Ma io non ci riesco. Il treno è in ritardo, non ho fretta.  Guardo il cielo sopra di me, grigio e pesante, anche lui sospeso tra il voler piovere e il trattenersi. Penso a ...

QUANDO LE COSE NON SONO CASUALI. SEGNALI, COINCIDENZE, L'ARTE DI IMPROVVISARE E SPIAZZARE

La vita è una trama, invisibile agli occhi distratti. Ogni evento, ogni incontro, potrebbe essere un nodo su un filo che percorre distanze infinite, tessendo un disegno che a volte sfugge alla comprensione. Vedo l’universo come un’opera teatrale assurda, il cui regista è il nostro inconscio: tutto ciò che ci accade è un segnale, una freccia lanciata dal nostro essere profondo.  Il significato emerge quando l’osservatore smette di cercarlo, quando si dissolve nella presenza dell’“adesso”. Alle volte le casualità, ciò che chiamiamo coincidenze, sono i riflessi del nostro movimento interiore proiettati sulla realtà.  L'istinto ci parla attraverso luci intermittenti, guidandoci, a modo suo. Lo ascoltiamo? Presi nella narrazione che la nostra mente scrive per giustificare ciò che ci accade, ci perdiamo il senso. La vita non ha sempre bisogno di giustificazioni: è il gesto, il flusso, l’azione pura.  La sua verità è nell’istante, non solo nelle storie che costruiamo intorno agl...

QUELLA TUA MANO DA RAGAZZO INGENUO

Ci sono giorni, nel cuore d'autunno, in cui il ricordo del vento di trent’anni fa mi accarezza come farebbe una mano conosciuta. E ritorni, sempre così, una mano che tocca appena, sfiorando. Che non prende, ma trattiene. Avevi vent’anni e il mondo sembrava essere tuo, anche se non lo sapevi ancora. C’era qualcosa nei tuoi gesti, nei tuoi movimenti morbidi e pigri, come se vivessi immerso in un tempo che non ci apparteneva, un tempo solo tuo.  Ti guardavo con un misto di invidia e riverenza, come si guarda chi ha capito tutto senza neanche rendersene conto.  La tua risata era la cosa più libera che avessi mai sentito. Piena, scomposta, senza riguardi. Una risata che non chiedeva permesso e che faceva tremare l’aria, un temporale d’estate.   Eravamo sempre distesi, ovunque. Sul letto sfatto nella tua stanza disordinata, sull’erba umida di un parco che non aveva un nome.  Ricordi quando ci infilavamo sotto il portico della vecchia stazione? C’era odore di ferro e d...

L'ITALIA: LA REPUBBLICA DEI FURBI (e dei fessi)

In Italia l’educazione civica è una leggenda metropolitana che si racconta ai bambini per tranquillizzarli prima di dormire.  «Sii educato, rispetta le regole», sussurrano i genitori, per poi bruciare ogni velleità morale al primo parcheggio in doppia fila.  In Italia, infatti, il rispetto per le norme è percepito come un atto di debolezza più che di virtù: chi segue le regole è visto come lo sprovveduto che, puntualmente, verrà sopraffatto dal furbo di turno. L’Italia ha elevato la furbizia a sistema di vita, uno sport nazionale in cui l’obiettivo non è partecipare, ma fregare il prossimo.  Esiste una differenza sostanziale tra furbizia e intelligenza: la prima è un riflesso istintivo, la capacità di trovare scorciatoie e aggirare ostacoli.  L’intelligenza, invece, dovrebbe essere l’attitudine a comprendere il mondo e migliorarlo, anche quando ciò comporta sacrifici.  Ma nel nostro Paese, l’intelligenza viene spesso relegata a esercizio sterile, mentre la furbi...

IL RAPPORTO TRA CONSAPEVOLEZZA E LIBERTÀ

Cos'è davvero la consapevolezza del proprio potere?  Cosa ci trattiene dal raggiungerla? La consapevolezza non può essere il risultato di un atto forzato, di una ribellione che nasce solo dalla rabbia. La ribellione che non si fonda sulla comprensione profonda diventa un altro schema di oppressione.  Per liberarsi è necessario osservare senza giudizio il nostro stato attuale: le paure, le illusioni, le dipendenze da strutture esterne che definiscono il nostro valore o potere. Non si tratta di acquisire potere nel senso di dominio sugli altri o sul mondo. Si tratta di capacità di vedere con chiarezza, di essere presenti a noi stessi e al momento.  Ma, fino a quando siamo intrappolati nelle narrazioni che ci hanno imposto – chi dobbiamo essere, cosa dobbiamo desiderare – non possiamo riconoscere questo potere, perché non lo percepiamo.  Viviamo come prigionieri inconsapevoli delle nostre catene. Liberarsi significa osservare senza paura, senza fuga, senza voler raggiun...

COME SARÀ L'UOMO TRA 1000 ANNI (temo molto prima)

Secondo una ricerca commissionata da Toll Free Forwarding tra mille anni l'essere umano sarà gobbo, avrà mani come artigli, un collo basso e spesso, tre palpebre per occhio e anche un cervello più piccolo. Inoltre avrà dimensioni inferiori e soprattutto sarà anche meno “prestante” dal punto di vista intellettivo. Beh, non facciamoci troppe illusioni, anche molto prima. Gobbo, con artigli al posto delle mani e un cervello ridotto all’essenziale? Francamente non mi sembra un salto evolutivo, ma un coerente scivolare verso l’inevitabile.   Che bisogno abbiamo di un cervello più grande?  È un peso, letteralmente e metaforicamente.  Lo usiamo giusto per scorrere feed infiniti di gente che fa cose inutili o per litigare con sconosciuti su Internet.  Se il cervello di oggi potesse parlare, probabilmente implorerebbe pietà:  "Perché mi hai dato un carico così grande se poi lo usi per guardare compilation di gatti?".  Ridurlo è quasi un atto di misericordia evo...

LA CHIRURGIA ESTETICA E LA MORTE DELL'ESSERE A FAVORE DI UN IDEALE DI PERFEZIONE PREFABBRICATA

La crescente diffusione della chirurgia estetica rappresenta un fenomeno emblematico delle dinamiche culturali e sociali della contemporaneità.  Non è semplicemente una questione di vanità individuale, ma un indicatore dei profondi condizionamenti imposti dal sistema economico, mediatico e culturale.  Per comprendere questo fenomeno, dobbiamo collocarlo in un quadro più ampio: quello di una società che ha progressivamente sostituito il valore umano con il valore di mercato, e l'identità personale con un ideale di perfezione prefabbricata. Il capitalismo avanzato, attraverso i suoi strumenti più efficaci – pubblicità, social media e influencer – ha trasformato l'estetica del corpo in un prodotto da vendere e acquistare.  I social media, in particolare, agiscono come agenti normalizzatori di un modello di bellezza irrealistico e standardizzato, costruendo una pressione costante, specialmente sulle donne e sui giovani.  La chirurgia estetica non è più percepita come una...

UN AMORE CHE NON ERA AMORE

Con Pietro era una battaglia quotidiana tra chi comandava e chi si lasciava trascinare, tra chi decideva il ritmo e chi si adattava. E io, come una pedina inconsapevole, subivo la sua prepotenza.  La chiamava passione, ma non era altro che possesso; la spacciava per desiderio, ma era soltanto dominio.  E io, cieca di fronte alla mia stessa complicità, credevo di essere viva mentre lentamente mi spegnevo.   C’è stato un tempo in cui mi dicevo che forse il problema ero io, che non sapevo lasciarmi andare, che ero troppo rigida o troppo complicata.  Pietro mi faceva credere che la mia incapacità di "godere del momento", come diceva lui, fosse il freno che rovinava tutto.  Così mi piegavo, mi adattavo, fingendo persino di provare piacere in gesti che mi facevano sentire sporca, estranea a me stessa.  Mi diceva che dovevo essere "più donna", più libera, ma la sua idea di libertà era una prigione.   Lui venerava l’arroganza travestita da virilità, ...

LO ZOCCOLO DURO

Lo zoccolo duro, quella parte essenziale e resistente che ognuno di noi custodisce come un segreto. Marta mi ricorda la rosa del Piccolo Principe. Delicata ma anche armata di spine.  E questo zoccolo duro, cos'è se non la radice del nostro essere?  Marta lo tiene nascosto, come una gemma sotto strati di terra.  Forse è la sua voglia di essere vista davvero, senza le maschere che il mondo le impone.  È il suo diritto a dire: "Sono qui, esisto". Non è questo ciò che cercano tutti? Essere compresi e amati senza condizioni. Eppure lo zoccolo duro è anche ciò che ci intrappola. È il nostro attaccamento al "me", al "mio".  Marta, come Carlo e Letizia (i suoi genitori), devono guardare con assoluta onestà dentro loro stessi.  Lo zoccolo duro è una prigione se rimane inosservato.  Marta, come tutti, combatte una battaglia silenziosa: trovare la verità dietro il proprio sé, liberarsi dall’immagine che ha di sé stessa. Ma è proprio nella lotta che Marta diventa ...

ELOGIO DELLA POVERTÀ. IL CONCETTO DI POVERTÀ, INTESA COME ESSENZIALITÀ

Privarsi delle cose superflue è un modo per afferrare la vita. Niente inutili orpelli. La povertà non è solo miseria, può essere una scelta. È un’arte del togliere, un’eliminazione del superfluo.    La povertà può essere intesa come libertà dall’ossessione dell’avere: ti costringe a guardare l’ombra delle cose, a vivere nell’intervallo tra un’assenza e l’altra. La povertà non è soltanto l’assenza di beni, l’essenzialità non è virtù, è necessità trasformata in filosofia.  Per me è come scrivere una poesia senza parole superflue: ogni sillaba pesa, ogni pausa respira.  L’essenzialità diventa una forma di preghiera per chi sa ascoltare, un richiamo al centro di noi stessi.  Nella povertà, il mondo perde il trucco e rimane solo il volto. Guardare la faccia scarna della vita e trovarla ancora bella, ancora piena di possibilità. La povertà è una forma di silenzio interiore. Non si tratta di rinunciare per rinunciare, ma di spogliarsi per vedere.  Essere essenzial...

IL LABIRINTO DELLE VITE (Forse appartenevano a un'altra Marta, una delle tante che si erano infilate dentro di lei)

"Una volta sopravvissuti a qualcosa, è la sopravvivenza stessa a intralciare la comprensione, e non sai più distinguere quali vite sono venute prima e quale sia la tua vita di oggi, confondi persino le tue stesse vite" (I. Bachmann, Malina) Il sole non si decideva a calare, Marta sedeva sul divano verde bottiglia del soggiorno, un bicchiere di vino tra le mani e il silenzio addosso.  Guardava il muro di fronte a sé, lo attraversava con gli occhi, penetrava oltre, in quella giungla fitta di ricordi in cui le sue vite si accavallavano. "Mi ricordo di aver avuto una casa rossa," disse. Non c’era nessuno nella stanza, ma lo disse lo stesso. "Una casa rossa, con un giardino. O era azzurra? No, forse non era mia."   Sul tavolo c’erano un posacenere pieno di mozziconi e un libro di poesie. Di chi erano quelle poesie? Forse le aveva scritte lei. Forse le aveva solo copiate. Forse appartenevano a un'altra Marta, una delle tante che si erano infilate dentro di l...

IL TRADIMENTO (spiegato a Umberto Galimberti)

Alle volte si scelgono parole luccicanti, per proteggere qualcosa di prezioso. Ma sai, il tradimento, a guardarlo da qui non è tanto cosa per essere veri. E se lo dice quel plagiatore di Umberto Galimberti! "Tradire per essere veri". Come suona bene, come suona profondo. Solo che tradire non è un esercizio di filosofia; è un momento da due soldi in una stanza a luci basse o in un baretto con due spritz, un attimo di carne e di vigliaccheria.  E se lo vogliamo giustificare, lo facciamo sempre con un mucchio di parole ben levigate. Ma alla fine, quello che chiami tradimento non è una nobile ricerca di sé: è una scusa, un biglietto di sola andata per la stazione “non è colpa mia...è stata tua la colpa e allora adesso che vuoi?”.   E questo elogio del tradimento come atto di emancipazione, come via verso l’individualità, mi fa venir da ridere.  Perché non è solo la libertà di andarsene che conta, ma il peso di chi resta.  Ci scambiamo fedeltà e amore come monete, pe...

DIO? UNA PRESA PER L'EPICURO

Con la religione puoi giustificare l’ingiustificabile. Il “problema del male” è un nodo gordiano che nessuno teologo o credente si sogna di tagliare. La ragione è semplice: il nodo è il loro giocattolo preferito. Non possono abbandonarlo, perché senza quel nodo—senza la scusa del mistero—l’intero costrutto teologico si scioglierebbe come neve al sole. Epicuro, o chi per lui, ci ha lasciato un paradosso che brilla per semplicità: Dio vuole evitare il male, ma non può? Non è onnipotente. Può, ma non vuole? Non è buono. Può e vuole, ma il male esiste? Allora non esiste lui. Elementare, no? Eppure, il fedele medio reagisce a questo ragionamento come farebbe un avvocato difensore che scopre che il suo cliente ha lasciato le impronte digitali sulla scena del crimine: negare, confondere, e, se tutto fallisce, gridare al "mistero". IL DIO DELLE PROVE INUTILI  Una delle difese preferite è la favola del libero arbitrio. Dio, bontà sua, ci avrebbe donato questa meravigliosa libertà...

SOSPESI

"La vita è breve. Perdona in fretta. Bacia lentamente" (Robert Doisneau) L'amore come atto di equilibrio, una sfida contro il vuoto e il tempo. L’amore è costruire insieme un ponte che non si regge mai del tutto. Ogni passo è un rischio, ogni passo un atto di fiducia.  Eccoli, sospesi tra il prima e il dopo, con lo sguardo rivolto in direzioni opposte.  Sono distanti e, nello stesso tempo, legati dalla stessa struttura.  Amare è continuare a camminare anche quando l’altro sembra scegliere un’altra strada. L'amore è un cantiere, dove ogni passo ti ricorda quanto puoi cadere.  Ti incazzi, guardi quella struttura e pensi: 'È fragile come noi.'  Ma è proprio lì che sta il miracolo. Non nel costruire una cosa perfetta, ma nel restare in piedi, nonostante il vento, nonostante il vuoto.  E se ogni tanto devi saltare, lo fai. O non lo fai. Ma intanto il tempo non si ferma, per nessuno.  E quando uno cade? Quando l’abbandono diventa reale?  È qui che l’amo...

IL LUPO CHE CERCAVA L'AMORE

C’era una volta un lupo che vagava nel bosco in cerca di qualcosa che neanche lui sapeva di preciso.  Gli mancava un calore dentro al petto, un sorriso che gli facesse brillare gli occhi. Cercava l’amore. Il Lupo non era come gli altri animali immaginavano. Non era feroce né crudele.  Era solo e dolce, ma anche timido, così tanto che gli costava fatica avvicinarsi a qualcuno.  Ogni volta che provava a fare amicizia, gli animali scappavano via. Si erano tutti abituati a pensare al Lupo come una minaccia, un’ombra scura che li spaventava.  E così, un po’ alla volta, il Lupo aveva cominciato a sentirsi diverso, storto, e la sua solitudine si era fatta sempre più pesante. Una notte, stanco e sconsolato, il Lupo alzò il muso al cielo e ululò alla luna. Auuuuuuuuvvvv!!! La luna, bianca e lontana, sembrava ascoltarlo. Il Lupo pensò che forse lei, lassù, poteva comprendere la sua tristezza.  La luna lo guardava ogni notte, e lui le raccontava i suoi segreti più profondi...

IL RIFUGIO (Una storia da barboni)

La sera lo aveva colto di sorpresa questa volta. Scivolava sotto pelle il freddo, non si levava dalle ossa, un’infiltrazione maligna.  Addosso aveva un misto di fango, acqua e gelo, gli idranti della polizia avevano fatto il loro dovere per scacciare i barboni dalle stazioni, e i suoi pochi strati di vestiti sembravano umido straccio incollato alla carne. Attorno a lui, il buio della città non faceva che amplificare ogni piccola luce lontana, come se volesse torturarlo con miraggi di calore. Le persone passavano, ombre svelte, schive, ridotte a piedi e cappotti senza volti. Nessuno si voltava. Tutti affrettavano il passo, incuranti di quella figura accasciata e tremante sotto un lampione. Dicevamo, la stazione. Il suo solito ricovero di cartone (ma almeno al chiuso) era stato distrutto. Avevano tirato fuori gli idranti, l’acqua gelata schizzava sotto la spinta del getto, creando rivoli di arterie ghiacciate.  Avevano costretto i senzatetto a sparpagliarsi, spazzandoli via come...

ACCENDE UN CERO A PADRE PIO E LE VA A FUOCO LA CASA

"Ma io l'avevo spento!" ha dichiarato con fermezza la signora, scossa e incredula.  Dopo aver "spento" il cero, era uscita in tutta serenità per recarsi alla consueta messa vespertina.  Eppure, a quanto pare, il cero deve aver deciso di riaccendersi da solo. Sarà stato un effetto collaterale della sua inestinguibile fede. Allertati dal fumo e dalle fiamme, i vicini hanno chiamato i soccorsi, ma ormai era troppo tardi: l’incendio aveva divorato l'intera abitazione.  Un disastro, direte. Eppure, in mezzo alla cenere, il miracolo: la statuina di plastica di Padre Pio è rimasta perfettamente intatta.  Segno, forse, che l’intercessione di Padre Pio funziona, ma per le cose davvero importanti. Che culo! (A. Battantier, Italien Néandertalien, Memorie di una croce, 2024) #italienneandertalien  #memoriediunacroce 

RITORNO A NAPOLI (Un sogno scomodo)

Seduta nel vagone scompartimento, Claudia guarda fuori dal finestrino il paesaggio che scivola via nella nebbia ovattata.  C’è qualcosa di lugubre e attraente, come un’ombra sfuggente che passa sulla linea degli alberi e si infila nelle pieghe dei suoi pensieri.  Ha comprato il biglietto quasi senza pensarci, all’ultimo momento, quando quel richiamo vischioso l’ha convinta a rientrare: "Che fai non vieni per festeggiare?" le ha ripetuto per settimana la madre al telefono. Non sa dire cosa sia esattamente: una voce, un’ombra, la mano morbida e sottile della madre che accarezza la guancia, o forse solo la sensazione impalpabile che, senza di lei, qualcosa si sgretolerà definitivamente.  Ma, mentre il treno si avvicina sempre di più a Napoli, sente quel misto di attrazione e repulsione che le stringe lo stomaco. Napoli. Casa. La città che è stata madre e matrigna, che le ha insegnato la bellezza e la violenza, che l’ha spinta via e poi richiamata, come se fosse tutto un gioc...