Sembra che il 2024 abbia deciso di battere ogni record climatico, e il motivo di allarme, a conti fatti, è giustificato.
Ma, per molti, “allarme” è una parola grossa, c’è sempre chi minimizza, chi cita i propri giardini ancora verdi, le piogge di una settimana di ottobre o, per i più ottimisti, le nuove occasioni di vitamina D.
Eppure, mentre discutiamo del prossimo inverno che sembra essersi dimenticato di arrivare, le evidenze scientifiche, i modelli climatici e i fenomeni estremi ci indicano un trend inquietante.
RISCALDAMENTO GLOBALE: OLTRE IL RECORD ANNUALE
Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi non è una fluttuazione temporanea. Il 2024, secondo le ultime proiezioni, sarà probabilmente l’anno più caldo mai registrato, ma paradossalmente potrebbe rivelarsi uno dei più freschi degli anni a venire.
Gli scienziati concordano sul fatto che ogni decennio successivo a questo potrebbe segnare nuove impennate di calore globale, dovute in gran parte all’aumento di concentrazioni di gas serra e all’accumulo di energia termica negli oceani.
Gli articoli scientifici più recenti parlano chiaro: l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha riportato che gli anni tra il 2015 e il 2023 sono stati i più caldi di sempre, con picchi che hanno portato a siccità record, incendi incontrollabili e ondate di calore insostenibili.
Uno studio del Met Office britannico ha stimato che entro il 2030 supereremo, almeno una volta, la soglia di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, ovvero quella soglia che gli esperti considerano “limite” per evitare danni irreversibili agli ecosistemi.
Ma qual è il punto di non ritorno per gli ecosistemi?
IL CLIMA CONTRO IL METEO: UNA QUESTIONE DI SCALA E CONSAPEVOLEZZA
Un giorno piove, il giorno dopo splende il sole: molti interpretano questi eventi come prova che “non ci si può fidare delle previsioni”.
Ma parlare di clima non è parlare di meteo. Mentre il meteo descrive le condizioni atmosferiche quotidiane, il clima è un quadro di lungo periodo, fatto di tendenze che si sviluppano nell’arco di decenni, anche se troppo spesso ignorate.
Commenti come “Ha piovuto tutto ottobre!” o “Ma fa ancora fresco in montagna!” dimostrano quanto sia radicata la confusione tra meteo e clima.
Questa apparente leggerezza rivela il grado di inconsapevolezza sul problema reale, cioè un cambiamento climatico che travalica le oscillazioni giornaliere.
Con buona pace degli scettici, una pioggia stagionale non ristabilisce il bilancio idrico globale, né raffredda un pianeta che trattiene, giorno dopo giorno, quantità di calore spropositate.
Al contrario, eventi come le alluvioni sono sintomi della stessa alterazione del clima: masse d'aria più calde contengono maggiore umidità e, quando scaricano, danno origine a fenomeni devastanti.
La pioggia è arrivata, certo, ma ha solo causato disastri, senza minimamente alleviare la scarsità delle riserve idriche e dei ghiacciai montani, che continuano a ritirarsi a ritmo accelerato.
I CONFINI DEL COLLASSO: FINO A QUANDO REGGERANNO GLI ECOSISTEMI?
Qual è il punto di rottura per la nostra biosfera?
I ricercatori suggeriscono che, continuando con le attuali emissioni, molte specie potrebbero non farcela.
La biodiversità è una rete complessa e interdipendente, dove la scomparsa di un habitat o di una specie innesca una catena di effetti che colpisce l’intero ecosistema.
Molti mammiferi, inclusi quelli che consideriamo “forti” o ben adattati, sono infatti estremamente vulnerabili al cambiamento climatico, che altera le fonti di cibo, i tempi di riproduzione e la disponibilità di acqua.
Senza interventi decisivi, entro il prossimo secolo interi ecosistemi potrebbero diventare inabitabili, portando alla progressiva estinzione di mammiferi, uccelli, anfibi e insetti impollinatori.
PIÙ CALDO, PIÙ PERICOLI: LA TROPICALIZZAZIONE DELLE MALATTIE
C’è chi ancora scherza, a denti stretti, sul riscaldamento globale: “Almeno risparmieremo sul riscaldamento in inverno!” o “Più caldo, più vitamina D”.
L’ironia cade però quando si scopre che a Verona, non a Lecce o in Sicilia, è stato registrato un caso di malaria autoctono. La malaria, una malattia tipica di regioni tropicali, è trasmessa dalla zanzara Anopheles, un insetto che vive in ambienti caldi e umidi. Gli esperti avvertono che, con il riscaldamento delle temperature, sarà sempre più frequente vedere patologie tropicali diffondersi in Europa e nelle regioni settentrionali.
Alcuni analisti hanno anche proposto scenari inquietanti: la tropicalizzazione del clima, favorita dalle temperature in aumento, potrebbe trasformare aree temperate come il Mediterraneo in zone fertili per virus come il dengue, il West Nile e il virus Zika. Se prima questi virus erano confinati a regioni calde e umide, l’innalzamento della temperatura media permette ai vettori di sopravvivere anche in inverno, diffondendosi in habitat sempre più estesi.
Ridete, ma a questo ritmo potremmo ritrovarci a convivere con zanzare “esotiche” tutto l’anno.
SIAMO ALLA FRUTTA (CLIMATICA)
Non si tratta di allarmismo, ma di una realtà scientifica che cresce, inesorabile, anno dopo anno. Le soluzioni esistono, certo, ma richiederebbero un intervento coordinato su scala globale. Eppure, è sufficiente ascoltare certi commenti per rendersi conto di come la sfida non sia solo tecnologica o economica, ma prima di tutto culturale.
C’è chi ironizza sulle misure di riduzione, chi accusa gli ambientalisti di esagerare, chi spera che “le cose cambino da sole”.
Ma qui non si parla di ritorno al “normale”, ma di contenere danni progressivi e irreversibili.
Interrompere il trend climatico odierno richiederebbe sforzi colossali, quasi impossibili senza una cooperazione internazionale che, purtroppo, sembra ancora lontana.
La verità è che anche se, con una bacchetta magica, eliminassimo tutte le emissioni da un giorno all’altro, ci vorrebbero decenni per stabilizzare il sistema climatico.
E ALLA FINE… COSA RESTA?
Resta una consapevolezza amara. La nostra “disattenzione” potrebbe aver già spinto il sistema oltre la soglia critica.
Continuiamo a misurare la crisi climatica come qualcosa di periferico, che prima o poi si sistemerà da sola. “Alla fine ha piovuto tanto!” come se quella pioggia potesse cancellare l’impronta di secoli di industrializzazione.
Si minimizza, si ride, si mette una faccina ironica sui social, come se il mondo fosse sempre lo stesso, come se bastasse scrollare la pagina per ricominciare.
Non sarà così semplice. L’evidenza del 2024 – e di ogni anno successivo – ci ricorda che siamo su una linea sottile, dove la differenza non la farà solo la nostra capacità di adattamento, ma la nostra volontà di cambiare, per davvero, prima che sia troppo tardi.
(A. Battantier, Millo Peg e le memorie della terra, Memorie di un adolescente, Mip Lab, 2024. Art by Stephen Stadif)
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