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L'ITALIA: LA REPUBBLICA DEI FURBI (e dei fessi)

In Italia l’educazione civica è una leggenda metropolitana che si racconta ai bambini per tranquillizzarli prima di dormire. 

«Sii educato, rispetta le regole», sussurrano i genitori, per poi bruciare ogni velleità morale al primo parcheggio in doppia fila. 

In Italia, infatti, il rispetto per le norme è percepito come un atto di debolezza più che di virtù: chi segue le regole è visto come lo sprovveduto che, puntualmente, verrà sopraffatto dal furbo di turno.

L’Italia ha elevato la furbizia a sistema di vita, uno sport nazionale in cui l’obiettivo non è partecipare, ma fregare il prossimo. 

Esiste una differenza sostanziale tra furbizia e intelligenza: la prima è un riflesso istintivo, la capacità di trovare scorciatoie e aggirare ostacoli. 

L’intelligenza, invece, dovrebbe essere l’attitudine a comprendere il mondo e migliorarlo, anche quando ciò comporta sacrifici. 

Ma nel nostro Paese, l’intelligenza viene spesso relegata a esercizio sterile, mentre la furbizia viene premiata con applausi e complicità.

Prendiamo il classico esempio del parcheggio: chi rispetta le regole, facendo più giri alla ricerca di uno spazio regolare, viene spesso visto come uno scemo perditempo. 
Il furbo, invece, parcheggia sulle strisce pedonali o negli spazi riservati ai disabili, sicuro che non arriverà nessuna multa. 

E se arriva? Poco male: il furbo conosce qualche amico avvocato che in grado di annullare multe oppure è comunque il prezzo del privilegio di sentirsi più sveglio degli altri. 

Del resto in Italia la legge non è altro che una fastidiosa burocrazia da aggirare.

Nei Paesi del Nord Europa (che io ho conosciuto) – Germania, Danimarca, Svezia, Olanda – il concetto di comunità è radicato in profondità. Il bene collettivo non è un’astrazione, ma una realtà quotidiana. 

Rispetto delle regole, tutela degli spazi pubblici, puntualità nei pagamenti e nei comportamenti: tutto contribuisce a creare una società armoniosa. 

In Italia, al contrario, la legge del più furbo si traduce nel trionfo del particulare, quell'indole a curare solo il proprio orticello, a discapito degli altri. 

Non c’è alcuna visione d’insieme, solo una propensione a soddisfare i propri bisogni immediati, possibilmente senza fatica.

L’educazione civica (Cittadinanza e Costituzione) quando viene nominata, è spesso trattata come una materia di serie B. Introduzioni sporadiche nei programmi scolastici, qualche conferenza qua e là, ma nulla che lasci un’impronta duratura. 

Non si insegna il rispetto per gli altri, né si educa a una consapevolezza civica concreta. 

E, soprattutto, manca il controllo. Perché rispettare una regola se nessuno verifica che venga applicata?

L’assenza di controlli efficaci è uno dei grandi mali italiani. Un paese in cui il codice della strada è spesso opzionale, i trasgressori sorridono di fronte a semafori rossi, e chi si attiene alle norme è percepito come l'ingenuo di turno. 

Ma cosa accadrebbe se, improvvisamente, ci fossero controlli rigorosi? Probabilmente assisteremmo a un’esplosione di indignazione: 

«Ma come, multare per un parcheggio irregolare? Non si è mai fatto! E poi guardate con che arte ho parcheggiato sull'aiuola!»

La vera rivoluzione in Italia sarebbe l’introduzione di una cultura della responsabilità, che non si limiti a declamare buoni propositi ma li traduca in azioni concrete.

Responsabilità significa capire che ogni comportamento ha un impatto sugli altri e agire di conseguenza. 

Significa anche accettare che le regole non sono limiti, ma garanzie di equità.

Rispettare il prossimo non è una concessione, ma un obbligo morale (fateci caso, in Italia i pedoni ringraziano gli automobilisti che si fermano in prossimità delle strisce pedonali) 

Non è un atto di debolezza, ma di forza. Perché il vero forte non è colui che calpesta gli altri per avanzare, ma chi costruisce un cammino comune, anche quando ciò comporta fatica e sacrificio.

L’Italia potrebbe essere un Paese diverso. Ma per cambiare davvero servirebbe un cambio di mentalità profondo, un ritorno ai valori di solidarietà e cooperazione. 

Non basta insegnare l’educazione civica nelle scuole: bisogna viverla ogni giorno, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, per strada.

Chissà, forse, un giorno, quel parcheggio libero non sarà più il premio del più furbo, ma il risultato di una società finalmente civile. 

Fino ad allora, non resta che fare giri su giri, sperando che almeno il karma abbia una buona memoria.


(A. Battantier, Memorie di un bambino, Memorie di un adolescente, Italien Néandertalien, Mip Lab, 2024. Art by Stephen Stadif)

#memoriediunbambino 
#memoriediunadolescente #stephenstadif 
#MIPLab 



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