IL LABIRINTO DELLE VITE (Forse appartenevano a un'altra Marta, una delle tante che si erano infilate dentro di lei)
"Una volta sopravvissuti a qualcosa, è la sopravvivenza stessa a intralciare la comprensione, e non sai più distinguere quali vite sono venute prima e quale sia la tua vita di oggi, confondi persino le tue stesse vite" (I. Bachmann, Malina)
Il sole non si decideva a calare, Marta sedeva sul divano verde bottiglia del soggiorno, un bicchiere di vino tra le mani e il silenzio addosso.
Guardava il muro di fronte a sé, lo attraversava con gli occhi, penetrava oltre, in quella giungla fitta di ricordi in cui le sue vite si accavallavano.
"Mi ricordo di aver avuto una casa rossa," disse. Non c’era nessuno nella stanza, ma lo disse lo stesso. "Una casa rossa, con un giardino. O era azzurra? No, forse non era mia."
Sul tavolo c’erano un posacenere pieno di mozziconi e un libro di poesie. Di chi erano quelle poesie? Forse le aveva scritte lei. Forse le aveva solo copiate. Forse appartenevano a un'altra Marta, una delle tante che si erano infilate dentro di lei, silenziose, senza bussare.
"Si sopravvive sempre a qualcosa," aveva detto suo padre, una sera, mentre il notiziario parlava di una guerra lontana.
"Ma il guaio è che non capisci mai a cosa sei sopravvissuto davvero. E allora sopravvivi anche a te stesso, e poi non sai più chi sei."
Quella frase le era rimasta attaccata addosso come un odore.
Ma forse non c’era mai stato un padre, ma un uomo qualunque, in una casa con un giardino – rosso, azzurro, chissà – che le aveva insegnato che la memoria è traditrice.
Nella stanza accanto, una radio gracchiava una vecchia canzone d’amore.
"Una volta ho amato qualcuno," mormorò. "O no? Forse era qualcun altro. Forse era in un'altra vita."
Si alzò, incerta, e camminò fino alla finestra. La strada era deserta, una lunga lingua grigia che si perdeva all’orizzonte.
Guardava senza vedere, senza sapere se quello che c’era fuori era più reale di quello che portava dentro.
"Io non so più quale vita sto vivendo," pensò. "Sono tutte sovrapposte, mescolate carte in un mazzo. E allora cosa resta? Solo il peso del tempo, una pietra mi preme sul petto, solo il respiro mi ricorda che ci sono ancora."
Nel riflesso del vetro della finestra vide il suo volto. Chi era? La bambina che una volta giocava nei campi? La donna che una volta amava? La sopravvissuta che ora sedeva al buio, in un soggiorno pieno di silenzio?
Le vite si aggrovigliavano dentro di lei, un groppo impossibile da sciogliere. Marta sentì il bicchiere scivolarle dalle mani. Si ruppe in mille pezzi sul pavimento, ma lei non si mosse. Restò lì, immobile, come un fantasma che non sa di essere morto.
A cosa era sopravvissuta?
Avrebbe mai saputo chi era davvero?
Talvolta la sopravvivenza non chiede risposte. Chiede solo di continuare.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 11/24, Marta Rob. Art by Stephen Stadif)
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