Seduta nel vagone scompartimento, Claudia guarda fuori dal finestrino il paesaggio che scivola via nella nebbia ovattata.
C’è qualcosa di lugubre e attraente, come un’ombra sfuggente che passa sulla linea degli alberi e si infila nelle pieghe dei suoi pensieri.
Ha comprato il biglietto quasi senza pensarci, all’ultimo momento, quando quel richiamo vischioso l’ha convinta a rientrare: "Che fai non vieni per festeggiare?" le ha ripetuto per settimana la madre al telefono.
Non sa dire cosa sia esattamente: una voce, un’ombra, la mano morbida e sottile della madre che accarezza la guancia, o forse solo la sensazione impalpabile che, senza di lei, qualcosa si sgretolerà definitivamente.
Ma, mentre il treno si avvicina sempre di più a Napoli, sente quel misto di attrazione e repulsione che le stringe lo stomaco.
Napoli. Casa. La città che è stata madre e matrigna, che le ha insegnato la bellezza e la violenza, che l’ha spinta via e poi richiamata, come se fosse tutto un gioco di attese e rimpianti.
Ma quanto era cambiata lei, Claudia, da quella ragazza un po’ acerba, fragile e spavalda, che si era lasciata alle spalle anni fa?
Ormai le sue dita conoscevano i volti severi delle città nordiche, i vicoli puliti, i tram che arrivano in orario e quelle esistenze lontane, rapide e silenziose.
E ora che tornava, si chiedeva se Napoli fosse mai stata casa. O se, nel tempo, era solo diventata un’illusione che portava nel taschino della sua nuova borsa da giovane manager.
Appoggia la testa al vetro, sentendo le vibrazioni del treno che le rimbombano dentro, un tamburo lento e monotono.
Chiude gli occhi, e improvvisamente non è più lì: è a Oslo, cammina per le strade innevate, una sciarpa rossa le avvolge il collo, il naso congelato, i respiri corti e veloci.
In fondo, si era lasciata sedurre dalle promesse del freddo. La tranquillità dell'ombra, dei lunghi pomeriggi d’inverno passati a leggere o a fissare il soffitto, i bar semi-vuoti, l’odore di caffè bruciato.
Le piaceva l’idea che nessuno sapesse chi fosse. Il mistero. La libertà di perdersi.
E ora tornava. Perché? Cosa la spingeva a risalire quell’odissea di pensieri irrisolti? C’era davvero bisogno di tornare?
Il treno fischia mentre attraversa una stazione minore, nessuno sale né scende.
Nei giorni passati, le era capitato di sognarla, Napoli. Sì, un sogno scomodo: lei camminava, le facce che le passavano accanto erano familiari ma estranee, gente che conosceva senza sapere da dove. Tutti la fissavano, la guardavano come per dire: “Tu non ci appartieni più, hai tradito.” Un misto di accuse silenziose e indifferenza. Ed era terribile svegliarsi ogni volta sudata, con la bocca secca, e sentirsi mancare il respiro.
Era questo Napoli? Un ricordo che ormai l’aveva abbandonata?
Il treno prosegue, la velocità aumenta, e Claudia ha come l’impressione di fuggire e tornare nello stesso tempo. Vivere sempre un passo fuori dal cerchio, a metà strada tra la fuga e il ritorno.
Ogni città, ogni angolo di mondo che ha visto, le ha lasciato addosso un’impronta.
Ma Napoli è come una macchia d’inchiostro che non riesci a togliere. Si espande, si insinua, si attacca alla pelle.
Chiude il libro che ha sulle ginocchia, lo aveva preso per distrarsi, ma è inutile.
Claudia lo sapeva, aveva vissuto in una sorta di guerra personale, cercando di tagliare i fili che la legavano alla sua città, di liberarsi dal passato, per poi scoprire che quei fili non si possono spezzare davvero.
Ne senti la mancanza, in modo lancinante, perché sono fili che uniscono ma strangolano.
Forse è solo paura di dover spiegare chi è diventata, di non riconoscere gli sguardi dei suoi, che in fondo hanno continuato a vivere come se lei fosse rimasta identica a prima.
Ma lei non è più quella ragazza dai sogni di fuga, dall’irrequietezza adolescenziale.
Appena fuori Napoli, vede i primi palazzi addossati l’uno all’altro, le lenzuola stese sui balconi, bandiere arrendevoli, una specie di poesia quotidiana che conosce a memoria.
E si accorge che non le fa male, non più.
Il treno rallenta, sta per fermarsi. Lei raccoglie la borsa, esita. L’odore delle sigarette spente, la gente in attesa sulla banchina, e quel brusio che le ricorda il ronzio di una vecchia canzone di Murolo cantava dalla nonna.
Le sembra di respirare con la città che odia e ama, e forse Napoli è proprio questo: un ricordo da cui non può separarsi. Un’inquietudine che la fa sentire viva.
Quando scende, sente gli occhi addosso, sguardi che le scavano dentro. Respira. Non sa cosa l’aspetta, ma è pronta a scoprirlo.
"Pronto mamma? Sono arrivata ma faccio un giro da sola, ci vediamo stasera".
(A. Battantier Memorie di un amore, Mip Lab, 11/2024)
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